PALERMO -
Mozart e il suo
Requiem, nella Basilica di San Francesco d'Assisi
Quando l’Uomo assurge verso l’Eterno
di Aldo Reina
PALERMO
- La sera del 27 Ottobre, all’interno della suggestiva
Basilica di S. Francesco d’Assisi, in Palermo, assisto al
Requiem in re minore K626 di W.A. Mozart.
Il concerto è tenuto dall’Orchestra e Coro dell’Accademia
Musicale “Ars Antique”, costituita prevalentemente da
giovani e valenti musicisti, diretta da Lyuter Robert, con
Alfiya Karimova (soprano), Teresa Ferlisi (mezzosoprano),
Vincenzo Lisi (tenore) e Yamil Abdulmanov (basso), nell’ambito
di un prezioso scambio culturale italo-russo.
Per l’ennesima volta mi accingo ad ascoltare l’ultima
composizione del “magico” Maestro. Gli orchestrali ed il coro
sono disposti nella parte inferiore dell’altare maggiore ed è
quanto mai strano notare brandelli di luce che si staccano dal
sacro palcoscenico, illuminato a giorno, per proiettarsi
impercettibilmente lungo la navata centrale, animando il
mistero allegorico delle portentose statue del Serpotta.
L’atmosfera è talmente empatica all’evento che non riesco
a sopprimere l’intima agitazione che in genere abbranca lo
spirito nelle rare volte che ci si affranca dai limitati
confini dell’immanente e si avvertono percezioni di
trascendenza. Il pubblico è numeroso, composto e riflessivo:
evidentemente le sensazioni di un qualcosa di soprannaturale
aleggia nell’aria e le suggestioni sono unanimemente
condivise.
E’ notorio come il Requiem di Mozart sia stato, sin dal suo
concepimento, terreno fertile delle più gratuite e spinose
supposizioni (oggi diremmo gossip), basti pensare alla copiosa
anedottica montata ad arte nel tempo.
L’opera è legata alla controversa vicenda della prematura
morte di Mozart e già Stendhal, nella “Vite di Haydn,
Mozart e Metastasio”, scrive di un misterioso committente che,
dietro compenso di cinquanta ducati, incarica Mozart di
comporre il Requiem in appena quattro settimane.
Il grande compositore, essenza e archetipo di genio e
sregolatezza, in quel periodo della sua vita era caduto in
miseria e versava in gravi condizioni di salute (alcuni
storici affermano che era affetto da sifilide), pertanto la
singolare maniera con la quale la richiesta fu esitata gli
arrecò non poco malessere. Lo strano personaggio, infatti, gli
si presentò avvolto in un mantello nero, nascondendo la
propria identità dietro una maschera terrificante. Mozart ne
fu profondamente colpito. A cagione della malattia e della
febbre alta era inchiodato in un letto e in quella apparizione
intravide addirittura la propria morte: una sorta di
premonizione raccapricciante. Tuttavia, non potendo rinunciare
alla munifica offerta, cominciò convulsamente a trascrivere le
prime note dell’opera, con la consapevolezza e la paura di
approssimarsi alla morte. Il suo stato d’animo può
comprendersi nell’affermazione che gli storici gli
attribuiscono “"Sto componendo questo Requiem per me stesso;
servirà per il mio funerale".
Le più fantasiose voci insistono ancora oggi nel blaterare
che fu il maestro Salieri ad ordinare il Requiem, roso
dall’invidia per il prestigio e la popolarità di Mozart e
nell’intento di accaparrarsi l’opera. Questa tesi, peraltro,
fu sostenuta da un’ampia letteratura, a cominciare da Puskin
che nel suo racconto “Mozart e Salieri” recepisce e amplia
voci e calunnie, per continuare con Peter Shaffer con il suo
dramma “Amadeus”, per finire con il regista Milos Forman, che
in tempi recenti ha conquistato un oscar con il bellissimo
film “Amadeus”, trasposizione cinematografica del dramma di
Shaffer.
In realtà Salieri non ha avuto niente a che fare con la
morte di Mozart, è ormai acclarato che il committente
mascherato altro non era che un nobilotto con smanie musicali
(Franz Walsegg-Stupparch), il quale ordinò il Requiem per
rubare la paternità dell’opera e farne dono alla defunta
moglie. Inoltre, inoppugnabili fonti storiche del tempo
testimoniano che Salieri fu un insigne musicista, un
compositore innovativo e, soprattutto, un grande maestro.
Basti pensare che fra i suoi allievi si annoverano lo stesso
Mozart, il grande Beethoven, che dedicò al suo maestro
addirittura tre sonate con tanto di dedica, quindi Schubert,
Lizt e tanti altri artisti dell’epoca. Salieri fu
indubbiamente un grande musicista, se è vero che in molte
composizioni dei suoi allievi si riscontrano i suoi
insegnamenti, tanto che nello stesso Requiem di Mozart molti
critici ascrivono l’architettura della parte corale al suo
magistero. Qualcuno ha detto “Se Salieri non ha ucciso Mozart,
di sicuro Puškin ha ucciso Salieri”, quanto di vero racchiude
questo pensiero. Per tutto ciò sembra quanto meno doveroso
rivalutare, dopo tante infamanti menzogne, la dignità di
Salieri: se non come musicista, almeno come uomo.
Purtroppo Mozart non ebbe il tempo di completare il suo
Requiem, morì anzitempo di febbre ed insufficienza renale e il
Requiem fu concluso dai suoi allievi. Mozart non ebbe pace
nemmeno nella morte, fu miseramente seppellito in una fossa
comune, infangato in una pioggia d’indifferenza. Del suo corpo
non si è trovata traccia, riposa nell’oblio, e tuttavia,
gaudio magno, il suo genio musicale è arrivato fino a noi e le
sue opere ci deliziano perennemente come un dono divino.
Inizia il concerto. Se permettete vi espongo le mie
personali sensazioni all’ascolto di alcuni brani. Sono
“impressioni” che non hanno velleità di critica, piuttosto
mere emozioni: una semplice testimonianza della grandezza di
Mozart.
Introduzione: Requiem aeternam.
Comincia lenta con sussurri di dolce melodia, poi uno stacco
musicale è tutto cambia. Il coro lacera la labile serenità
iniziale per immergersi in un linguaggio evocativo. Un cambio
di tono e il coro sibila una soave prospettiva dove il soprano
echeggia il racconto con note melodiose, quanto dolorose. La
voce del destino canta la vita e mestamene avvia alla morte.
Le voci del coro s’intersecano sommessamente invocando
l’eterno riposo. Il ritmo lento e solenne sembra
seguire un’anima fra le anime, arriva in profondità e in cima,
tutto viene compreso, cori e richiami ultraterreni denudano lo
spirito fuggevole e pietoso dell’uomo mentre uno stupendo
crescendo armonico lo disperde verso l’ignoto, anelando la
misericordia della luce perpetua.
Kirye: Una lotta fra l’uomo e il destino. Il ritmo è
costante, sibillino, la melodia penetrante, carica di
mestizia, emerge il destino: l’uomo soccombe all’ineluttabile.
Dies irae: Dall’abisso salgono i profondi toni del
basso, poi, improvvisamente, il tenore squarcia gli indugi
terreni ed eleva una preghiera, una preghiera che scongiura il
perdono nel giorno dell’ira e del giudizio. Il mezzosoprano
con voce calda riprende la melodia e il soprano accentua i
toni salmodiando dolcezza e tristezza. La musica fonde le
quattro voci e l’orchestra estende l’armonia evidenziando il
pathos.
Il concerto prosegue con ineffabile drammaticità e
stupore evocativo, il genio e la profonda umanità di Mozart
sembrano concentrati in ogni singolo brano del Requiem fino
alla sublimazione dei celeberrimi Confutatis e Lacrimosa.
Ottima la direzione di Lyuter Robert, riesce ad
esaltare lo spirito romantico dell’opera in perfetto
equilibrio con l’armonia classica costantemente presente
nell’opera. Esemplare l’esecuzione dell’orchestra e del coro,
rimarchevole la performance del soprano Alfiya Karimova, voce
calda e limpida, affascinante all’ascolto .
In fondo basta un piccolo sforzo, una scintilla
d’immaginazione, per lasciarsi trasportare dalle note del
Requiem nell’universo delle emozioni possibili. Un viaggio
fulmineo e temporaneo che conduce fra la beatitudine dei cieli
e gli abissi della dannazione, esaltando la gamma infinita di
sensazioni frapposte fra la gioia e il dolore, attraverso la
sottile e ondeggiante linea degli orizzonti dell’uomo.
Il linguaggio divinamente assoluto della musica di Mozart.
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